Si inoltra di seguito riportato il parere dell’ Avvocato sul reiterato tema della pubblicità dei dati patrimoniali alla luce della recente sentenza dell’ordinanza del TAR Lazio, Roma, sezione prima, n. 7579 pubblicata il 21 novembre 2019. Ancora una volta si ribadisce che la comunicazione (obbligatoria) non prevede la pubblicazione (vietata).
SUL PRESUNTO OBBLIGO DI COMUNICARE E PUBBLICARE I DATI PATRIMONIALI DEI DIRIGENTI DEL S.S.N.
Avv. Giovanni Pasceri
La Determinazione di ANAC n. 241 del 08/03/2017 (e successivamente la delibera n. 586 del 2019 del 26 giugno 2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 182 del 5 agosto 2019, nella quale si dettano “integrazioni e modifiche della delibera 8 marzo 2017, n. 241 per l’applicazione dell’art. 14, co. 1-bis e 1-ter del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 20 del 23 gennaio 2019” oggetto dell’ordinanza TAR n. 7579 del 21 novembre 2019) in relazione all’applicabilità a tutti i dirigenti sanitari il Decreto Legislativo 14 marzo 2013 n. 33, con riferimento all’obbligo di pubblicare i dati patrimoniali, è illegittimo.
Una premessa che vale per inquadrare la fattispecie.
Già nel marzo 2017 codesta Organizzazione Sindacale (in seguito al parere legale-sindacale del 4 maggio 2017), ha diffidato formalmente l’ANAC a revocare la predetta Determinazione anche in ragione dell’Ordinanza emessa dal TAR Lazio n. 1030 in data 02 marzo 2017 in quanto era chiaramente priva di una reale giustificazione anche in ragione dei ruoli definiti dal D. Leg. n. 502/92 e dal CCNL della dirigenza medica, nonché della giurisprudenza nelle more formatasi che esclude per i dirigenti medici un vero e proprio potere decisionale e di spesa.
Conseguentemente, l’ANAC ha sospeso la predetta Deliberazione in materia di pubblicazione dei dati reddituali facendo rivivere, per l’effetto, la precedente Delibera n. 1388 del 14 dicembre 2016 dell’ANAC che escludeva dall’obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali.
Come anticipato, la norma tuttavia non brillava per chiarezza, tanto da costringere la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del precetto normativo.
Infatti, la Corte Costituzionale con sentenza 21 febbraio 2019 n. 20 ha dichiarato illegittima la disposizione che estendeva a tutti i dirigenti pubblici gli stessi obblighi di pubblicazione dei dati patrimoniali (compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e i dati patrimoniali ricavabili dalla dichiarazione dei redditi e da apposite attestazioni sui diritti reali sui beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, sulle azioni di società e sulle quote di partecipazione a società) evidenziando che la norma che prevede la diffusione dei dati patrimoniali attraverso i siti istituzionali è in antitesi al diritto, egualmente costituzionalmente garantito, del singolo a controllare la circolazione delle informazioni relative alla propria persona.
La questione costituzionale -chiaramente- non tocca la comunicazione dei dati, ovvero la legittimità della norma che impone al dirigente medico di fornire i dati patrimoniali a lui riguardanti. Detta questione era stata già evidenziata nel precedente parere nel quale avevo sottolineato che l’obbligo di comunicare i propri dati afferisce la necessità della pubblica amministrazione di eseguire le relative trattenute fiscali, libera professione o anche valutare un eventuale conflitto di interessi[1].
Superata la questione in ordine alla sola comunicazione dei dati, giova sul punto ricordare la stessa contraddittorietà del comportamento dell’ANAC, laddove, nelle proprie “Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013 «Obblighi di pubblicazioni concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall’art. 13 del d. lgs. 97/2016”, emanate -appunto- dalla stessa ANAC, al punto 8, ultimo capoverso, chiaramente dispone: E’ stato inoltre specificato che sono da ritenersi esclusi dagli obblighi di trasparenza previsti all’art. 14 i dirigenti del SSN, a qualunque ruolo appartengano, che non rivestono le posizioni indicate all’art. 41, co. 2 (ndr del d. leg. n. 33/2013).
Ritornando al merito della questione.
La sentenza 21 febbraio 2019 n. 20 della Corte Costituzionale nel confermare l’illegittimità costituzionale della pubblicazione dei dati così come sopra richiamata, ha però invitato il legislatore a formulare una norma sul punto più chiara e maggiormente rispettosa dei canoni costituzionali ed ad individuare i dirigenti pubblici che oggettivamente abbiano “capacità dirigenziale” in senso stretto (e non la dirigenza medica che tale è in ragione alla capacità professionale non organizzativa e di spesa).
Ciò è bastato evidentemente all’ANAC per sostituirsi al legislatore individuando, autonomamente, l’ambito dei soggetti i cui dati patrimoniali devono essere oggetto oltre che a comunicazione anche di pubblicazione (e dunque diffusione già stigmatizzata dal provvedimento citato del Tar di Roma).
La nuova delibera dell’ANAC.
Inizialmente il presunto obbligo di pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali dei dirigenti pubblici, è stato introdotto con dall’ANAC con delibera n. 241/2017.
La nuova delibera n. 586 del 26 giugno 2019 adottata dall’ANAC (e tutte le delibere aziendali che seguono questo orientamento) relativa alla pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali dei dirigenti pubblici, fra i quali i direttori di dipartimento e di struttura complessa delle Aziende del SSN, mal si concilia non solo con la sentenza n. 20/2019 della Corte Costituzionale, ma anche in ragione della discussa natura dell’atto emanato da ANAC[2].
Conseguentemente, in relazione alla predetta delibera, l’Ordinanza del TAR Lazio, Roma, sezione prima, n. 7579 pubblicata il 21 novembre 2019 altro non fa che sospendere la deliberazione in via cautelare ritenendo sussistente un fumus boni iuris circa la pretesa della dirigenza medica, nonché il periculum in mora ovvero la possibile esistenza di un grave ed irrimediabile danno a carico dei dirigenti medici per la pubblicazione dei dati definiti da ANAC.
In altre parole, l’ordinanza de qua non ha fatto altro che riportarsi al principio fissato dal T.A.R. Lazio, sezione prima-quater, con ordinanza n. 1030 -già- in 2 marzo 2017 e relativa alla prima determina di ARAC del 2017 in merito all’obbligo in parola.
Come già anticipato, la questione appare chiara in quanto il punto da delineare è ben tracciato: 1) esiste un obbligo di comunicazione che serve all’azienda per verificare la compatibilità o il conflitto di interessi; 2) non sussiste una esigenza immediata e diretta alla diffusione dei dati; 3) le norme richiamate circa il conflitto di interessi sono di per sé sufficienti ad escludere, per la dirigenza medica, una necessità di integrazione normativa (per tutte vale la pena ricordare l’art. 13 e ss del D. Leg. n. 97/2016 e il DPR n. 62/2013); 4) assenza della “dirigenza”, intesa come libera capacità di organizzazione e di spesa in senso manageriale (posto che, come già rilevato, la dirigenza medica si esplica nella autonomia delle decisioni cliniche, diagnostiche e terapeutiche e nella libertà della scelta tecnica e dei mezzi da adoperare).
[1] La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale riguarda esclusivamente la diffusione dei dati mediante pubblicazione sul sito istituzionale tant’è che il dispositivo della citata sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale del solo art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); mentre dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-ter, del d.lgs. n. 33 del 2013, riferite agli artt. 2, 3, 13 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, all’art. 5 della Convenzione n. 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale, adottata a Strasburgo il 28 gennaio 1981, ratificata e resa esecutiva con la legge 21 febbraio 1989, n. 98, nonché agli artt. 6, paragrafo 1, lettera c), 7, lettere c) ed e), e 8, paragrafi 1 e 4, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima quater, con l’ordinanza indicata in epigrafe; nonché non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del d.lgs. n. 33 del 2013, nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera c), dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, riferite agli artt. 2, 3, 13 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 7, 8 e 52 CDFUE, all’art. 8 CEDU, all’art. 5 della Convenzione di Strasburgo n. 108 del 1981, nonché agli artt. 6, paragrafo 1, lettera c), 7, lettere c) ed e), e 8, paragrafi 1 e 4, della direttiva 95/46/CE, sollevate dal TAR Lazio, sezione prima quater, con la predetta ordinanza.
[2] Giova infine ricordare che, recentemente, il Consiglio di Stato con parere 2 agosto 2016, n. 1767 si è discostato dall’orientamento principale che vede gli atti delle Autorità indipendenti come atti aventi capacità vincolante risultando riconducibili agli “altri atti di regolamentazione flessibile” riportando invece dette deliberazioni alla categoria di atti normativi seppur atipici, poiché privi di un fondamento che le attribuisca capacità diretta di innovare l’ordinamento (sul punto si veda anche Chieppa – Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2017).
Il potere dell’Autorità indipendente (come ANAC) di “sostituirsi” allo Stato in difetto di insufficienza normativa però non può essere considerata ad libitum, ma deve sempre e comunque rispettare i principi generali di diritto e soprattutto raffrontarsi con le norme contigue che individuano un quadro organico alla questione oggetto di definizione.