Più test agli operatori sanitari, ma siccome costano troppo non saranno tamponi molecolari bensì tamponi rapidi – quelli praticati negli aeroporti, con cui si rischia qualche errore in più. E i sindacati non ci stanno. Dagli ospedalieri ai laboratoristi, è un coro di “no”. Anaao Assomed chiede al Veneto il tampone molecolare, se non per tutti i sanitari dell’ospedale, almeno per quelli in prima linea. I medici di laboratorio di Aipac rilanciano: serve in tutta Italia il tampone molecolare, per tutti gli operatori che frequentano le corsie, non solo sanitari. Partiamo dal Veneto. La Regione, capofila di una gara d’appalto da 148 milioni di euro per rifornirsi di test antigenici – nella cordata, tra le altre, Lombardia Emilia Romagna e Piemonte – ha approvato un piano di salute pubblica che lascia libere le aziende Ulss e ospedaliere di organizzare i test ai sanitari, fin qui molecolari. I tamponi rapidi, con risposta in 15 minuti, sono ora stati adottati a Padova, da effettuare ogni 7 giorni: non passano dal laboratorio, e alle Ulss costano metà dei molecolari, 15 euro l’uno contro 30. In compenso, i reagenti sono sensibili solo a frammenti della proteina del Covid 19 e possono dare falsi negativi: fino a un 30%, ha avvertito il virologo Andrea Crisanti, che consiglia i test rapidi per scuole e comunità, non per l’idoneità degli operatori sanitari.
Medici e infermieri sono sul chi vive, i sindacati chiedono di praticare il tampone molecolare almeno al personale di terapie intensive, pronto soccorso, 118, reparti di malattie infettive e pneumologici, anestesisti. «In caso di falsi negativi il rischio di focolai in un reparto è elevato – ricorda Adriano Benazzato, segretario Anaao Veneto – tanto più che uno studio firmato anche dalla dottoressa Francesca Russo del Dipartimento di Prevenzione regionale dimostra, nella prima fase pandemica, una contagiosità 4 volte superiore per i sanitari in Veneto rispetto alla popolazione residente e addirittura 19 volte superiore in Lombardia. Di qui la nostra richiesta. In base alla legge anti-infortunistica 81/08, la responsabilità di tutelare gli operatori dal rischio biologico è in capo all’azienda sanitaria datrice di lavoro, la quale si avvale della collaborazione del medico competente», ricorda Benazzato. E riepiloga alcuni dati: l’ospedale di Padova è in grado di processare 20 mila tamponi al giorno; con i test rapidi, i sanitari paradossalmente si ritroverebbero referti meno certi rispetto ai ricoverati sintomatici; se in caso di positività al test antigenico si procede con il tampone molecolare, in caso di negatività di un camice sintomatico nulla si fa. Infine, sui falsi negativi sono in subbuglio anche le aziende, «nel Trevigiano si rifiutano di far rientrare i pazienti la cui negatività fosse comprovata da un tampone antigenico e non da uno molecolare». Certo, c’è tampone e tampone. L’Estar, azienda approvvigionamenti toscana, ha testato 15 test antigenici scoprendo che l’esito (positività vs negatività) dipende dalla carica virale isolata nel muco: 4-5 prodotti danno esiti negati anche su cariche medio-elevate, 4 danno positività pure su cariche molto basse, uno si comporterebbe come un tampone molecolare. Altro elemento, se in Veneto i tamponi a medici ed infermieri si fanno ogni 7 giorni, in Piemonte si fanno ogni 15 e il test cambia da un’azienda all’altra, in Lombardia ed Emilia Romagna si sono eseguiti per lo più una tantum. «A differenza della prima ondata, il controllo sul personale ora c’è in tutta Italia, pur a cadenza periodica variabile e con protocolli diversi tra regioni» dice Benazzato.
In un recente articolo di Annarita Martini e Alessandra Di Tullio, della Federazione Fassid che comprende in Aipac i medici di laboratorio, in Simet quelli dei servizi di igiene Asl, nel Snr i radiologi, in Aupi i psicologi e in Sinafo i farmacisti ospedalieri, si osserva come i test molecolari siano il solo metodo efficace per lo screening: la loro esecuzione passa per laboratori con specifiche certificazioni. Oggi Di Tullio, segretario nazionale Aipac, sottolinea con forza due aspetti: «Tutto il personale sanitario e assistenziale dell’ospedale va screenato con gli stessi test offerti ai pazienti e questi test devono essere il top per affidabilità. Tra i lavoratori da testare metto pure gli addetti di ditte esterne che operano negli ospedali.
Segnalo che ad oggi per avere un tampone i lavoratori devono autocertificare all’azienda di aver usato sempre la mascherina e i dispositivi di protezione». Il tampone molecolare è il più affidabile.
«Comprendo che le aziende ospedaliere si tutelino, oltre che legalmente, economicamente utilizzando test rapidi – dice Di Tullio – ma in pandemia non si può ridurre il grado di certezza dei referti in nome del fatto che il personale dei laboratori è sottodimensionato. Bisogna fare il contrario, assumere personale. Negli ultimi 20 anni, sono venuti a mancare tanti specialisti nelle discipline di laboratorio in parallelo ad accorpamenti e soppressioni di laboratori; per contro laddove gli ospedali si siano dotati di un laboratorio di Microbiologia separato dalla Patologia clinica, ciò ha comportato una duplicazione di attrezzature e provette per l’esecuzione dei test virologici. Le regioni devono investire sui laboratori come sui servizi di Igiene e prevenzione Asl che dovrebbero tenere le fila del contact tracing e invece si ritrovano sotto organico. Nel testing, ripeto, occorre sostenere competenza e qualità: al contrario, molte cose vanno nella direzione sbagliata. A cominciare dalle regioni – Lazio, Emilia Romagna, Trentino – che affidano gli screening alle farmacie del territorio per aumentare l’offerta, facendo riferimento a personale di quei punti vendita».
Mauro Miserendino